2010
Ho tredici anni e un cellulare tra le mani, sono l'esca per un mutante di un anno più grande di me. Guardo l'ora cinque volte e mi specchio nelle vetrine con la speranza di non sembrare così colpevole. Passeggiamo per ore, e lui è più agitato di me mentre cerca di baciarmi. Quando Vincent arriva con i fucili spianati si ritrova davanti solo me e capisce che l'ho fatto scappare: ha la faccia livida di rabbia, tira un calcio allo sportello della macchina e mi bestemmia addosso. Finisco blindata in una casa di campagna. Dentro c'è un disegno enorme di un labirinto che ricopre tutta la superficie di legno. Ci resto poco mi dico.
Ho perso il conto dei mesi, dalle finestre sbarrate non filtra nemmeno un briciolo di luce. La notte e il giorno sono stati scavalcati da una lampadina che funziona quattro cinque ore al giorno. Non ricordo più quante volte mi sono spaccata la fronte, il labbro, le nocche e le ginocchia contro la porta, i muri, ma non c'è nessuno che mi risponde. Ci sono orme di sangue ovunque mi giro, forse sono le mie, se respiro abbastanza forte riesco anche a sentirne l'odore. Ricordo il labirinto a memoria, ogni vicolo cieco, ogni curva, linea. Il centro sono io. Sono io. Il labirinto non ha luce ne ombre, ne sangue, ne parole. Il labirinto non esiste.
E' passato un anno, non so più che suono abbia la mia voce, ma conosco le scorciatoie per arrivare al centro del labirinto. Ho fatto a pezzi già una decina di cadaveri che qualcuno brucia qui fuori. Ma oggi per la prima volta insieme al pranzo mi hanno portato un ragazzo vivo. E' vivo. Non lo guardo ma lo capisco da come si strozza con il fiato corto: è terrorizzato, e non sa se implorare o minacciare. Poi scopro che ha almeno dieci anni più di me, lo legano a un palo mentre si piscia nei pantaloni. La porta è aperta ed è notte. E' notte ne sono sicura. E se fosse crollato il sole? Fisso la via d'uscita senza reagire. Non ricordo nemmeno quando ho smesso di lottare, e ho le gambe molli accavallate una sull'altra e il cuore addomesticato. Mi lanciano un coltello prima di andarsene, hanno il passamontagna ma i miei fratelli li riconosco dall'esitazione con cui mi girano le spalle. Appena ci chiudono dentro sento la vibrazione sempre più forte di un terremoto che mi attraversa i muscoli: è solo angoscia. Lo so già che devo fare, dal labirinto non si esce vivi. Il labirinto sono io.
Prima di ammazzarlo ci parlo per tutta la notte, non voglio rimanere sola. La mia voce mi ossessiona, ma quando è lui a muovere le labbra capisco di essere reale. Prova a convincermi che insieme possiamo scappare, io provo a convincerlo che sarò veloce e non sentirà dolore. Nessuno dei due manterrà l'impegno. Gli do così tante coltellate che la mano mi brucia dal dolore. Il coltello mi scappa via dalle dita, e solo in quel momento mi fermo.
C’è chi deve spingere le macerie
ai bordi delle strade
per far passare
i carri pieni di cadaveri.
4 novembre 2024
Mi vedi, sono un mezzo disgraziato.
Se dico salta c'è da saltare.
Sono stesa in un letto e i confini del mondo sono fatti di fuoco liquido. Appesa al soffitto c'è una tagliola che oscilla nella penombra di una luce che tengo accesa solo per quattro, cinque ore, non di più. La tagliola arruginita è il sorriso di Leonard che mi trapassa la testa come un proiettile. Il riflesso dei suoi occhi brilla nelle crepe aperte, ammuffite. I muri del labirinto ora sono fatti di fuoco liquido, attraversarli significa bruciarsi i polmoni. Mi sfioro le linee di inchiostro nero tatuate sulla spalla, per non dimenticarmi che a tenermi in vita tutto questo tempo sono state le prigioni, non la libertà.
C’è chi deve sprofondare
nella melma e nella cenere,
tra le molle dei divani letto,
le schegge di vetro
e gli stracci insanguinati.
[...]
E infine assolutamente nulla.
Sull’erba che ha ricoperto
le cause e gli effetti,
c’è chi deve starsene disteso
con la spiga tra i denti,
perso a fissare le nuvole.
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